Bergamo, 22 dicembre 2020
Care studentesse e cari studenti,
come vi avevo promesso, torno a scrivervi pochi giorni prima del Natale per condividere con voi qualche pensiero, pensieri che vogliono essere prima di tutto ben auguranti e che mi permettono di “incontrarvi” in questo tempo così aggrovigliato di preoccupazioni e speranze.
In queste ultime settimane, ho ricevuto alcune lettere da parte vostra o, addirittura, da parte di genitori che mi chiedono di riprendere con le lezioni in presenza, così da tornare a quella socialità che è imprescindibile dall’esperienza universitaria… Seppur a malincuore, rispondo sempre che non possiamo – e nemmeno vogliamo – contravvenire alle norme precauzionali stabilite dalle Autorità competenti. Rispondo che anch’io, così come tutti i docenti e tutti coloro che lavorano in UniBg, non vediamo l’ora che si possa rientrare nelle nostre sedi e vedervi di persona, discutere con voi le tematiche di studio, ascoltarvi e farci ascoltare o, semplicemente, fare due chiacchiere durante i momenti di pausa.
In questo nostro desiderio, i nuovi iscritti occupano in special modo i nostri pensieri… abbiamo, cioè, a cuore tutti coloro che stanno frequentando il primo anno e che non sono ancora riusciti a esplorare da vicino la loro sede di studio né tantomeno a incontrare i loro docenti e colleghi. Chiedo agli studenti che a UniBg sono “di casa” – e conoscono i posti migliori dove studiare, le zone delle biblioteche più silenziose, le aree verdi dove incontrarsi quando non fa troppo freddo e il percorso più veloce per raggiungere le “macchinette” del caffè –, di accoglierli e dare loro le giuste dritte. Di guidarli nella loro nuova esperienza. Quando, ovviamente, sarà possibile. Quando tutti rientreremo in Università e ci ritroveremo nuovamente faccia a faccia, insieme.
Qualche giorno fa, ho ricevuto una mail da parte di un folto gruppo di neodottori in Scienze dell’Educazione in cui mi raccontavano in poche parole la loro esperienza di laurea ai tempi del Covid: un’esperienza difficile e, al tempo stesso, fortificante… Quello che però più mi ha colpito del loro messaggio corale è stata la volontà, celebrata e ribadita, del riconoscersi insieme nonostante tutto, l’orgoglio di essere parte della comunità di UniBg.
Dedico a loro, a tutti i nostri laureati e a tutti voi il nuovo inno della Luberg, l’associazione dei Laureati dell’Università di Bergamo: lo potete ascoltare in questo video, interpretato dalle voci e dagli strumenti del gruppo Mizar, un quintetto di giovani musicisti che, attraverso le parole dell’inno, vi invitano a inseguire i vostri sogni e a concretizzarli nella realtà.
Per noi, che lavoriamo ogni giorno per mantenere salda e viva la nostra comunità, queste testimonianze di perseveranza da parte dei giovani, che, sia come educatori sia come musicisti (o come umanisti, ingegneri, giuristi ed economi), si impegnano a migliorare la collettività, rappresentano una ventata di gioia e fiducia non solo nel domani, ma anche nel presente. Personalmente, interpreto inoltre il messaggio dei neodottori come una positiva dimostrazione del fatto che, seppur a fatica, è possibile coltivare i legami e approfondire le amicizie anche a distanza.
Questo non significa, naturalmente, non privilegiare le attività in presenza. Voglio assicurare tutti che, non appena sarà consentito, torneremo nelle nostre sedi: lo faremo senza dubbio, lo faremo anche se, probabilmente, per qualcuno è più comodo seguire (o svolgere) le lezioni da casa: la comodità non è sempre sinonimo di adeguatezza, in special modo quando si parla di educazione universitaria. Imparare a tracciare il proprio percorso di vita – e noi docenti rinnoviamo questo processo ogni volta che ci confrontiamo con nuovi studenti – significa non evitare le fatiche, bensì cercare di scendere a patti con le difficoltà e, soprattutto, saper osare, o meglio “osare sapere” come esorta a fare, sull’esempio degli antichi Romani, il Prof. Ivano Dionigi, grande amico della nostra Università.
Lo stesso vale per questi momenti di festa. È stato detto molto, forse troppo, sulle vacanze natalizie di quest’anno, arrivate in un periodo che, in effetti, sembra non appartenere loro, perché fatto di ansie, stanchezza, sofferenza e, purtroppo, ancora di tante perdite dolorose. Sembrano lontani i sorrisi, gli abbracci e i festeggiamenti che ci permettono, ogni dicembre, di riconoscere il Natale per quello che è, e cioè una celebrazione che, religiosa nella sua essenza ma di forte spiritualità anche per chi non crede, è capace di unirci ai nostri affetti familiari e amicali, incoraggiando lo stare insieme con ritualità di gesti e azioni che ripetiamo ogni volta e che ci tramandiamo attraverso le generazioni.
Il Natale del 2020 sarà – anzi, lo è già – differente per via delle restrizioni anti-contagio, che sono tuttora più che mai necessarie. Lo sappiamo e siamo pronti. Ci metteremo tutto il nostro impegno per cercare di fare ‘buon viso a cattiva sorte’, o meglio ‘buon natale a cattiva sorte’.
La differenza nelle feste di quest’anno risiede proprio qui: nella capacità di riscoprire, tra i silenzi, i vuoti, le anomalie che nostro malgrado sperimenteremo, un tempo rivoluzionario di rinascita, dove, privati degli eccessi a cui eravamo abituati e con i pensieri rivolti ai cari che non possiamo abbracciare, riusciamo a lasciarci toccare dalla speranza e dalla volontà di cambiarci in meglio. Riusciamo, cioè, ad adottare una prospettiva differente, che vede non solo le tante parole – molto spesso ridondanti e retoriche – che solitamente ci invadono nel mese di dicembre, ma anche gli spazi bianchi tra di esse… Sono proprio questi spazi bianchi, questi intervalli di pausa, che permettono di costruire le frasi: interpretiamoli, allora, come silenzi carichi di potenzialità che ci aprono a tanti dialoghi inaspettati, a tante forme di comunicazione, a tanti modi di scoprirci uniti (seppur separati nelle nostre rispettive abitazioni).
In una lettera all’amico Lucilio (Epistula ad Lucilium XXIII), Seneca affermava
voglio che la gioia non ti venga mai meno, che nasca nella tua casa: e ciò avviene se essa è dentro di te. Le altre forme di allegria lasciano il cuore vuoto, non fanno che spianare la fronte, sono superficiali, eccetto che tu per caso creda che gioisca veramente chi ride: l’animo deve essere allegro, sicuro di sé e superiore a tutti gli eventi. La vera gioia, credimi, è una cosa seria.
La gioia “è una cosa seria”, un sentimento ponderato e austero (un aggettivo usato molto spesso ultimamente) che, per abitare le nostre case e i nostri cuori in profondità, deve avere il giusto peso. Siamo noi a dovergli riservare quel peso, quella cura.
Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie di saper trovare o, meglio, costruire questa gioia: mentre pensate agli abbracci che questo Natale vi toglierà, escogitate una strategia per tenerli protetti e pronti a entrare in azione quando avrete nuovamente modo di incontrare le persone, i parenti e gli amici rimasti lontani. So che lo sapete fare.
Ci risentiamo a gennaio 2021, quando presumo che saranno aggiornate le disposizioni normative e provvederemo a organizzare la nostra didattica sulla base delle nuove regole precauzionali. Nel frattempo, posso, però, anticiparvi che abbiamo stabilito di uniformare il calendario di inizio del secondo semestre: le lezioni di tutti i corsi di laurea ripartiranno lo stesso giorno, ossia lunedì 22 febbraio.
Ora, concentriamoci però solo sulle feste che stanno per arrivare e che, spero, siano vissute anche come momenti di ricarica personale. Vi mando il mio abbraccio da lontano, allegando un cartoncino con il mio pensiero e ringraziandovi per la pazienza e la responsabilità che state dimostrando.
Il vostro Rettore,
Prof. Remo Morzenti Pellegrini