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Università degli studi di Bergamo

Il primo Dantedì, la giornata ufficiale dedicata al poeta, cade in un tempo calamitoso per tutti, e tanto più crudele per il territorio della nostra Università.

Per celebrarlo sottoponiamo alla riflessione di tutti un passo del Dante meno frequentato, ma non meno incisivo di quello più noto della Commedia.

È l’attacco della Monarchia, il trattato politico scritto per giustificare il sostegno ideologico e politico all’Impero, nel tempo della discesa in Italia di Arrigo VII (1312-1313). Nel suo latino fiammeggiante Dante richiama il dovere per ciascuno di contribuire alla catena della società, in un movimento continuo che parte dal passato e va verso il futuro; chi si impegna in questo modo ricambia il bene ricevuto dalla comunità, ne diventa parte attiva ed è come l’albero che a tempo debito produce i suoi frutti.

Il monito che Dante rivolge al lettore e a se stesso, rielaborando immagini bibliche, sembra fotografare la responsabile consapevolezza che sta mostrando ora più che mai l’intera nostra comunità: studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo impegnati a perpetuare la catena di trasmissione del sapere e della società, nonostante tutto, con un senso autentico di solidarietà. Alberi piantati lungo il fiume, che fruttificano e fruttificheranno.

Sorprende sempre la capacità dantesca di toccare le sorgenti delle nostre emozioni con la sua energia visionaria e l’appassionata forza di convinzione, come ha scritto Andrea Battistini sul «Corriere della Sera» del 21 marzo. Davvero dobbiamo riconoscerlo contemporaneo degli a-venire, secondo la felice formula di Gianfranco Contini.

"Tutti gli uomini che la natura dall’alto ha improntato all’amore per la verità hanno, più di ogni altro, questo dovere: preoccuparsi che i posteri ricevano da loro di che arricchirsi, così come loro sono stati resi ricchi dall’impegno degli antichi. Chi non si cura di portare il proprio contributo alla comunità, dopo aver tratto profitto dagli insegnamenti che questa gli ha dato, sappia che viene meno ai suoi obblighi: costui non è albero piantato lungo il fiume, che a tempo debito dà frutto, ma è rovinoso abisso, che sempre inghiotte e mai rende ciò che ha inghiottito"

(Dante, Monarchia, I 1-2; adattamento dalla traduzione di Paolo Chiesa)

"Omnium hominum quos ad amorem veritatis natura superior impressit hoc maxime interesse videtur: ut, quemadmodum de labore antiquorum ditati sunt, ita et ipsi posteris prolaborent, quatenus ab eis posteritas habeat quo ditetur. Longe nanque ab offitio se esse non dubitet qui, publicis documentis imbutus, ad rem publicam aliquid afferre non curat; non enim est lignum, quod secus decursus aquarum fructificat in tempore suo, sed potius perniciosa vorago semper ingurgitans et nunquam ingurgitata refundens"

(Dante, Monarchia, I 1-2)