Prolusione del Rettore, prof. Sergio Cavalieri

Signor Ministro,
Autorità civili, militari e religiose,
Magnifiche Rettrici e Magnifici Rettori,
Care Colleghe e Cari Colleghi,
Care Studentesse e Cari Studenti,
Gentili ospiti,

Vi porgo un cordiale e caloroso benvenuto all’Inaugurazione dell’anno accademico 2022-2023 dell’Università degli studi di Bergamo.

Desidero anzitutto esprimere la mia gratitudine al Ministro Bernini per aver accolto il nostro invito e averci concesso la Sua presenza oggi, nonostante i numerosi impegni istituzionali in un momento così importante di inizio legislatura e avvio dei lavori del Suo Ministero.

Un ringraziamento davvero sentito va al Generale di Divisione Kalenda e a tutto il Corpo dell’Accademia della Guardia di Finanza, per averci aperto le porte di questa meravigliosa sede dell’Istituto, inaugurata poco più di un anno fa.

Qui sorgeva il complesso degli Ospedali Riuniti di Bergamo che, nel corso dei novant’anni della sua storia, ha visto nascere diverse generazioni di bergamasche e bergamaschi, e restituito la speranza a migliaia di persone e alle loro famiglie. Un luogo simbolico di riconoscenza e affetto per le cittadine e i cittadini, ma anche per la nostra Università, già al centro del dibattito negli anni Novanta sul suo ampliamento verso nuovi spazi per far fronte a un percorso di crescita pressoché vertiginoso.

Si profilava allora l’ipotesi di un unico campus, collocato proprio in questo complesso e ispirato al modello anglosassone o, in alternativa, un progetto di campus diffuso, caratterizzato da più poli universitari concepiti come spazi di crescita e aggregazione, oltre che di formazione e ricerca. Una strada quest’ultima che, poi, si è rivelata di successo per l’università e per il territorio.

Questa riflessione mi porta a rivolgere un pensiero alle figure di due importanti Rettori che hanno guidato con abnegazione e lungimiranza l’Ateneo per venticinque anni, quasi metà della nostra storia. A loro dobbiamo lo slancio che ebbe la nostra Istituzione.

Penso a Pietro Enrico - per tutti Piero – Ferri, Rettore dal 1984 al 1999, scomparso lo scorso giugno e artefice del percorso di statizzazione da Libero Istituto Universitario a Università statale degli studi di Bergamo, avvenuto trent’anni fa, per l’esattezza il 1° novembre 1992.  Con lui, Alberto Castoldi - Rettore dal 1999 al 2009, che abbiamo recentemente commemorato in occasione di un convegno a tre anni dalla sua scomparsa – e a cui dobbiamo anche le scelte coraggiose di investimento in nuovi poli universitari. Scelte che hanno posto le basi per traghettare l’identità dell’Ateneo verso una dimensione nazionale e internazionale, grazie anche all’operato di Stefano Paleari e Remo Morzenti Pellegrini, miei più recenti predecessori.

Oggi i nostri campus universitari - il Generale Kalenda mi permetta l’inciso - comprendono anche questa Accademia, sede del corso di laurea magistrale a ciclo unico in “Giurisprudenza per allievi ufficiali della Guardia di Finanza”. Un corso istituito e, a partire dallo scorso anno accademico, attivato interamente dal nostro Ateneo, per selezionare annualmente oltre sessanta allievi. Un iter di studi impegnativo, di comprovata qualificazione professionale, destinato a formare i futuri ufficiali di uno dei più nobili e storici corpi militari del nostro Paese.

L’acquisizione recente da parte dell’Ateneo del vicino complesso immobiliare di via Statuto, sede precedente dell’Accademia, consentirà di rafforzare ulteriormente la relazione già solida tra le due Istituzioni e di gettare le fondamenta di un Polo della formazione, della ricerca e della terza missione in area giuridica di rilevanza notevole sul piano nazionale e internazionale. Una collaborazione che rappresenta un esempio emblematico e virtuoso di come, grazie all’azione congiunta di più Istituzioni, possano prendere forma proposte e progettualità di distinto valore pubblico.

Il dibattito cui assistiamo oggi sulla missione educativa dell’Università ci riporta all’azione che ogni Paese è chiamato a intraprendere, da una parte, per garantire la parità d’accesso all’istruzione, dall’altra, per stimolare la motivazione e il gusto per lo studio e la ricerca.

Partecipazione, interesse, amore per il sapere sono ingredienti essenziali per accendere nei nostri giovani la curiosità e la fiducia nel futuro, senza timore di esplorarne le incognite, per far comprendere loro come la conoscenza sia l’unica arma con cui sconfiggere i pregiudizi e varcare le barriere, facendo delle proprie passioni uno stimolo nel presente e uno scatto verso il domani.

L’impronta del sistema universitario non può dunque limitarsi alla formazione superiore, ma può e deve indirizzare il dibattito sul riassetto di tutta la filiera formativa. Sono quindi grato ai dirigenti di scuole secondarie del territorio per aver preso parte a questa importante ricorrenza annuale del nostro Ateneo. Credo, infatti, che solo la collaborazione proficua tra i mondi della scuola e dell’università consenta di individuare itinerari comuni di orientamento efficace.

Con questo fine, la scorsa primavera abbiamo avviato un confronto diretto tra Università e Istituti scolastici. Inoltre, su mandato del Tavolo per lo sviluppo e la competitività del territorio, coordinato dalla Camera di Commercio, abbiamo potenziato il dialogo con gli Istituti Tecnici Superiori di Bergamo e provincia, certi dei benefici che le sinergie tra Università e ITS possono generare sul fronte dell’istruzione tecnica superiore. 

L’impegno della nostra comunità accademica si inserisce nel quadro di un sistema della formazione che, oltre ad avvalersi delle opportunità esclusive offerte dal PNRR, si declina in programmi didattici sempre più personalizzati e professionalizzanti per illuminare gli orizzonti delle nostre studentesse e dei nostri studenti, prima di tutto come cittadine e cittadini coscienti delle proprie capacità.

Sono inoltre percorsi che provano a rispondere a situazioni di disagio giovanile incipiente, anche in seguito all’allontanamento forzato dagli spazi di socialità, relazione e confronto che si sono rivelati decisivi per la formazione.

A partire dallo scorso settembre, il ritorno in presenza delle nostre studentesse e dei nostri studenti ha avuto lo stesso impatto di riconversione a colori di quell’immagine che, negli ultimi due anni, mostrava i nostri ambienti semivuoti e spenti. Un ritorno che, come più volte ho avuto modo di osservare, non intende disconoscere l’enorme bagaglio di esperienze maturate nell’utilizzo delle tecnologie digitali. Come Ateneo, nel corso di quest’ultimo anno, abbiamo condiviso una riflessione profonda sulle opportunità connesse alle metodologie didattiche innovative. Abbiamo stanziato investimenti importanti per venire incontro alle esigenze di chi manifesta maggiori difficoltà a frequentare in presenza, in quanto soggetto fragile o impegnato in attività lavorative o sportive, al fine di rinsaldare ancora di più il rapporto con l’intera popolazione studentesca.

Il nostro ruolo e l’impegno come Università pubblica ci motivano, o meglio, ci impongono di garantire l’accesso agli studi a tutti coloro che intendano investire nel proprio futuro.

Mossi da questi principi - grazie al lavoro svolto di concerto con le colleghe, i colleghi delegati e gli uffici preposti - abbiamo portato avanti la pianificazione e costituzione di un Polo Penitenziario Universitario. Un passo che colma un vuoto e offre una possibilità reale a persone che, proprio nell’interesse e nell’amore per la conoscenza, identificano un’occasione futura di riscatto e di rinascita.

Parliamo di futuro, ma forse dovremmo riferirci a una pluralità di scenari che si dischiudono e ci richiedono capacità sempre più affinate di analisi, interpretazione, previsione e gestione flessibile dei fenomeni di natura sociale, economica e politica. Una complessità che solo una cultura sistemica, rispettosa delle singole competenze disciplinari, ma porosa e permeabile alle contaminazioni tra le conoscenze e le esperienze, consente di dipanare.

Per generazioni come la mia, ragionare sui prossimi cinquanta o cento anni significa immaginare un futuro di cui non saremo i protagonisti. Negli ultimi due anni abbiamo dovuto affrontare improvvisamente circostanze e difficoltà di cui non eravamo in grado di prevedere gli effetti e che, per certi versi, ci hanno colti impreparati, fino a compromettere il nostro quotidiano.

Richiamando l’immagine di un recente film di successo, dobbiamo essere consapevoli dei meteoriti che si avvicinano pericolosamente e, in parte, hanno già prodotto un impatto non trascurabile sul nostro pianeta. Non possiamo voltare lo sguardo altrove davanti a crisi ed emergenze che si stanno susseguendo a ritmo incessante, mutando profondamente le nostre consuetudini e le nostre visioni.

I cambiamenti climatici, gli eventi pandemici, i conflitti bellici, le carenze energetiche ci costringono a uscire dalla nostra comfort zone e a porci delle sfide cui dobbiamo reagire dando risposte nell’immediato, perché domani potrebbe già essere troppo tardi.

L’Università esercita un ruolo fondamentale da questo punto di vista. È per missione e natura l’antitesi di una zona di conforto, un luogo in cui anche ciò che è dato per certo viene messo in discussione. Per dirla con Karl Popper, ogni teoria è scientifica quando è suscettibile di essere smentita dall'esperienza e, ancora, «la scienza non è un sistema di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo».

Nel corso di quest’anno ci siamo interrogati su dove indirizzare le attività di didattica, ricerca e terza missione della nostra università, forti della multidisciplinarità e dell’eccellenza che contraddistinguono le progettualità dei nostri Dipartimenti e Centri di Ateneo.

La stessa domanda ha preceduto e stimolato il processo partecipativo di costruzione del Piano Strategico di Ateneo 2023-2027, del quale oggi potete leggere, nel documento che vi è stato consegnato, i principi guida e le linee di indirizzo. Un piano programmatico per i prossimi cinque anni, ideato e maturato nell’ambito di una riflessione collegiale che ha coinvolto oltre 200 persone della nostra comunità - docenti, personale tecnico amministrativo e studenti - e ha promosso l’istituzione di piattaforme tematiche interdipartimentali per riattivare scambi e interazioni che la pandemia aveva allentato.

Temi come stili di vita, salute e benessere della persona, patrimoni culturali e creativi, economie e società sostenibili, formazione e nuove professionalità hanno animato discussioni lunghe e articolate, consentendoci di individuare strategie di riferimento utili a orientare gli investimenti a venire dell’Ateneo.

La complementarità dei punti di vista, la ricchezza delle idee e delle proposte, e la volontà concreta di metterle in comune, ci hanno trasmesso una consapevolezza intrinseca alla partecipazione. Un bene essenziale per coltivare e rendere sempre più duttili le scoperte e le pratiche, per creare coesione, anticipare prospettive e porci traguardi di sviluppo come attori responsabili e non spettatori passivi.

Solo così, nutrendo un pensiero diversificato e mai convenzionale, possiamo rendere onore alla storia del nostro Ateneo, fatta di una vocazione internazionale e di approcci trasversali, per mettere radici ancora più estese nelle comunità e nei territori. Con loro intendiamo lavorare, consapevoli della necessità di riconoscere e costruire insieme soluzioni in risposta alle spinte che, in maniera repentina e talvolta inattesa, stanno fortemente rimodellando la società.

Un tema di straordinaria rilevanza è stato al centro del dialogo in seno ai gruppi di riflessione strategica di Ateneo e riguarda l’inversione della piramide demografica che vede innalzarsi l’età media della nostra popolazione e, allo stesso tempo, ridursi drasticamente la natalità.

Un cambiamento sociale è in atto e ci tocca da vicino, ci proietta verso aspettative di allungamento della vita, fasi diverse dell’età che si ritrovano a convivere con le proprie aspirazioni, con modalità rinnovate di relazione, produzione e organizzazione.

Come Università ci è chiesto di ripensare anche in questo senso il nostro compito, adottando approcci rigorosi e integrali per far sì che il benessere delle persone non sia un principio astratto o esteriore, ma si traduca in una pratica di ricerca attiva, reticolare, interdisciplinare e fondata sul perseguimento di risultati capaci di riconvertire la longevità in direttrici di investimento, rigenerazione e collaborazione territoriale.  Con l’evidenza di studi e azioni dimostrative, con l’impiego mirato di tecnologie emergenti e, prima di tutto, con una capacità di ascolto che sappia rileggere le divisioni generazionali come opportunità e non come minaccia, possiamo attribuire al fenomeno dell’invecchiamento una valenza attiva di propulsore di stili di vita salutari, di attivatore del dialogo tra generazioni diverse e custode delle memorie come tessuto connettivo della società.

Sono prospettive in sintonia con le priorità indicate anche dalla Commissione Europea e passano attraverso la nostra capacità di promuovere reti di scambio intergenerazionale e di co-progettazione territoriale a più livelli: socio-culturale, professionale, sperimentale, istituzionale e imprenditoriale.

Come Ateneo ci proponiamo pertanto di avanzare proposte e potenziare servizi e infrastrutture di prevenzione, cura e mobilità più efficienti, a partire dalle città.  Un orizzonte prossimo che, anche grazie all’accordo recentemente siglato con il National Innovation Centre for Ageing di Newcastle diretto da Nicola Palmarini – che ringrazio vivamente per la disponibilità a condividere oggi con noi le sue esperienze pionieristiche su questo tema centrale – accordo che ci consentirà di dare voce piena all’identità plurale dei nostri territori, facendo leva su un patrimonio di ecosistemi dell’innovazione e filiere industriali ad alto impatto tecnologico.

La richiesta crescente da parte del sistema economico e sociale di competenze specialistiche e di una formazione continua di qualità, in risposta alle trasformazioni tecnologiche, sociali ed economiche di un mercato del lavoro che fa i conti con l’allungamento dell’età lavorativa, inquadrano un contesto in cui la nostra Università può e deve assumere una funzione istituzionale ancora più decisiva sulla formazione specialistica di terzo livello.

Ne abbiamo avuta prova - nonostante le tempistiche ristrette - con l’adesione corale e pressoché tempestiva del mondo aziendale alla definizione e messa a punto dei temi di ricerca e al cofinanziamento di tutte le borse di studio assegnate dal Ministero al nostro Ateneo e collegate ai percorsi di dottorato innovativo.

Inoltre, forti dell’esperienza pluridecennale messa in campo con la nostra Scuola di Alta Formazione, intendiamo promuovere accordi strategici di collaborazione con il mondo economico, le associazioni di categoria e gli enti di formazione superiore per un potenziamento ulteriore del sistema di formazione continua.

Siamo parte attiva di un processo consolidato di scambio e cooperazione territoriale, incentrato su un dialogo permanente e su un rapporto di fiducia reciproco, visibile nelle numerose iniziative culturali e scientifiche di Public Engagement che ci vedono coinvolti in prima persona. Un capitale relazionale che ha rappresentato anche il primo valore indispensabile per la popolazione bergamasca per superare le sfide recenti e più drammatiche.

Concludo, riprendendo un punto a me caro: la visione che guiderà il nostro percorso strategico nei prossimi anni.  Quella di un Ateneo aperto, plurale e con una forte responsabilità pubblica e attiva nei confronti della società. Una visione che può realizzarsi e generare cambiamenti solo se si rafforza la sua essenza come universitas, fondata su libertà e diversità di opinioni, sulla valorizzazione delle competenze, sul rispetto dei ruoli e la condivisione delle scelte, sulla garanzia dei diritti fondamentali e su un senso di comunità fortificato dall’essere agenti di coesione e innovazione sociale.

 

Con l’auspicio di rivolgere le nostre azioni verso un futuro prossimo da costruire insieme, dichiaro ufficialmente aperto l’anno accademico 2022-2023, 54° dalla fondazione dell’Università degli studi di Bergamo.